venerdì 11 dicembre 2015

Libri: "Nel fiume della notte" (Ediciclo Editore)

ROMA - Con l'uomo che sembra aver scoperto quasi ogni mistero del proprio corpo, del pianeta sul quale vive; in grado di far viaggiare sonde galattiche per decenni con precisione millimetrica, sapere che ci sono, invece, zone dell'Occidente dove poggiamo i piedi che ancora nascondono segreti, rincuora. Pietro Spirito in 'Nel fiume della notte' non lo dice, ma lo lascia intendere. Scrittore amante e rispettoso della Natura, non è animato dalla necessità di capire e monitorare e controllare tutto, ogni cosa.

Conferma al contrario l'esistenza di un'etica nel convivere con la Natura, nell'accettarla senza interrogarla, nella dispensabilità nevrotica, morbosa di tutto sapere. Di una focosa scienza che nel suo dovere di scoprire travolge tutto, anche le più sane pulsioni umanistiche. Non la battaglia di retroguardia del "torniamo alla natura" dimenticando che non sapremmo vivere senza i comfort e le conquiste del progresso tecnologico, ma un riappropriarsi di un equilibrio sobrio. Se un tempo la natura stordiva, terrorizzava con la sua sconosciuta e irragionevole potenza - nemica - oggi la Terra e le leggi che la governano somigliano a un cane che una volta era feroce e oggi lo guardiamo, addomesticato, con la tenera comprensione con cui si parla a un pugile suonato.

Dunque, cosa fa Spirito? Viaggia rispettosamente dalla Croazia alla Slovenia, alla provincia di Trieste seguendo il corso di un fiume strano e ancora (fortunatamente) misterioso, il Timavo, oltreconfine chiamato Reka. Si arrampica sulle colline per vedere dove nasce, si cala negli abissi della terra per guardarlo scorrere a trecento metri sottoterra, ne esplora in kayak l'estuario. E racconta, intanto, il Carso, la guerra nella ex Jugoslavia, il mito di Giasone messosi in salvo con il Vello d'Oro risalendo le sue foci, e soprattutto, il fatto che di questo fiume citato da Virgilio, e un tempo confine tra i romani e le genti illiriche non ancora sottomesse, non si granchè. Non si sa per lunghi tratti dove scorra, a quale profondità, in quanti rivoli quando si tuffa sottoterra. Compiaciuto, in questo viaggio alla Moby Dick al contrario, Spirito è sazio di ciò che di questo fiume si conosce. Gli basta la scoperta del 'ritrovamento' delle sue acque a meno 298 metri nella Grotta Meravigliosa nel 1999 da parte degli speleologi della Commissione Grotte Eugenio Boegan.

Si trattò di una conferma di ciò che un villico, Lazzaro Jerko, aveva intuito nel 1832, ma le autorità non gli credettero. E continuarono a cercare altrove acqua per dissetare Trieste. A Boegan era stato dedicato un lago anni prima, nel 1953; è una caverna allagata dalle acque del fiume scoperta da Walter Maucci e Stefano Bartoli nelle profondità della Grotta di Trebiciano dopo aver percorso sott'acqua ben 77 metri senza vedere assolutamente nulla. Una impresa leggendaria.

Spirito ha lo sguardo dell'esploratore appagato dell'aver scoperto, visto, sfiorato. Non deve evangelizzare, imporre leggi o misurarsi; come Plinio, vuole curiosare. E altrettanto latinamente, riflettere, soddisfatto, nell'otium.

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